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Dante Alighieri e la Valle Benedetta

Esiste un documento denominato “codice Martelli 12” che i Catari trascrissero integralmente, riportando accuratamente anche il luogo dove è presente l’ingresso agli inferi nel manoscritto detto “antiduodecim“. L’attuale sezione del codice Martelli 12 in possesso degli studiosi non è completa, manca la mappa che i Catari tracciarono su Antiduodecim, dove è rappresentato il punto di ingresso utilizzato dal poeta Dante Alighieri per andare all’inferno. Questo luogo si trova tra le montagne pisane, ma è bene ricordare che al tempo di Dante la città di Livorno non esisteva, figuriamoci la Val Benedetta. Non è un caso che anticamente le colline e la valle della Valle Benedetta fossero chiamate la Valle dell’Inferno. Questo dettaglio è stato trattato in numerosi post precedenti. Un’altra prova di ciò è l’esistenza di una carta territoriale dell’epoca. Furono i Martelli a consigliare a Dante di recarsi in quella valle infernale, appena arrivato a Firenze alla fine del Duecento, quando il cognome della famiglia era sempre Martello. Di tutto questo, dei pellegrini chiamati “Palmieri” che si fermavano al monastero di San Jacopo ad Acquaviva, di “Vita Nova“, ne parleremo la prossima volta. Era la fine del XIII secolo quando la stirpe dei Martello lasciò la terra d’origine, la Val di Sieve per stabilirsi definitivamente nella città di Firenze, dove, per volontà dei Gonfalonieri del Leone d’Oro, il loro cognome fu mutato da Martello a Martelli. Inoltre, ottennero il patrocinio e il possesso di un edificio dove poter continuare la loro attività di armaioli. Il luogo prese poi il nome di via degli spadai, data la loro maestria nell’arte della forgiatura. I Martelli furono ammessi al consiglio del centone e fu in quel momento storico che i Martelli fecero la conoscenza del poeta Dante Alighieri che si rivolse ai Martelli perché intendeva acquistare un pugnale dalla lama molto affilata e dalla punta così affilata che potesse trapassare il cuore senza trovare resistenza perché non sarebbe sopravvissuto se la sua dolce amata, donna Beatrice, fosse morta a causa di una grave malattia che ella soffriva da alcuni giorni. Dante si presentò all’officina Martelli per acquistare l’arma letale, proprio il giorno del suo compleanno poiché quel pugnale sarebbe stato il suo ultimo regalo. Era il 31 maggio 1290, ma al posto del pugnale Dante trovò conforto nei Martelli che lo convinsero a non suicidarsi e ad unirsi a un gruppo di pellegrini chiamati Palmieri che in quel momento transitavano per Firenze. I Martelli spiegarono a Dante che i Palmieri erano in pellegrinaggio andando oltre le colline pisane verso il mare. Erano diretti verso un monastero sulla rupe chiamato San Jacopo in Acquaviva, dove c’era una sorgente di acqua benedetta che poteva guarire da tutti i mali e che avrebbe sicuramente guarito anche la sua Beatrice. Per l’occasione i Martelli fornirono anche a Dante Alighieri una lettera per intercedere presso il priore del monastero di San Jacopo, padre Iohannis Pisani. Dante Alighieri, così, su consiglio dei Martelli, si unì ai pellegrini chiamati Palmieri che si erano radunati per l’occasione per pernottare presso il refettorio della chiesa di Santa Reparata per poi raggiungere il monastero di San Jacopo in Acquaviva il giorno successivo attraverso le colline pisane. Per fare ciò sarebbero passati attraverso una valle chiamata Valle dell’Inferno. I Palmieri credevano che tra quelle colline e quelle valli ci fosse l’ingresso agli inferi. Per questo volevano recarsi in quei luoghi, a pregare per le anime del purgatorio. I pellegrini stessi informarono Dante delle loro intenzioni e Dante ne rimase stupito. La mattina dopo all’alba i Palmieri e Dante partirono verso la loro destinazione. Il loro passo era piuttosto lento e ci vollero due giorni per raggiungere le colline che dominano la Valle dell’Inferno. Arrivarono al tramonto e decisero quindi di accamparsi per la notte in quella selva oscura, ma Dante non aveva intenzione di riposarsi, avrebbe voluto raggiungere quanto prima il monastero di San Jacopo, poichè sapeva che ogni giorno che passava, la salute della sua amata Beatrice peggiorava. Perciò Dante quella notte non andò a letto come gli altri pellegrini, ma attese il nuovo giorno vagando in quei boschi come un’anima in pena. Dante e i pellegrini giunsero al monastero di San Jacopo nel tardo pomeriggio di sabato 3 giugno 1290, addirittura con un giorno di anticipo sulla tabella di marcia. Appena arrivato Dante tentò di contattare il priore padre Iohannis Pisani per mostrargli la lettera di raccomandazione fornita dal Martelli, ma la sorte non volle che Dante Alighieri consegnasse la lettera di accompagnamento perché quel giorno il priore non era al monastero di San Jacopo. Il vice priore Luchas de Sismundis spiegò a Dante che il priore era assente da alcuni giorni perché si era recato in un luogo chiamato Roccalbegna, per fornire supporto logistico ad una nuova comunità agostiniana che stava assumendo il controllo dell’eremo di San Cristoforo della Selva. Il vice priore non specificò il vero motivo del viaggio del priore, cosa che faremo perfettamente: padre Iohannis Pisani voleva recarsi personalmente a Roccalbegna in provincia di Grosseto per fornire un sostegno economico alla nuova comunità che sarebbe stata gestita dal Monaci agostiniani, che fornivano bestiame, in particolare un enorme bovino maschio che faceva parte della coppia di uri che un secolo prima i Templari riunirono con la nave Fenix. La leggenda attribuiva queste qualità soprannaturali a questi due grandi bovini. Infatti era stato calcolato che avessero più di 170 anni e soprattutto il toro era particolarmente apprezzato per l’allevamento e la riproduzione, per questo motivo il toro fu trasferito a Roccalbegna. Questo è quanto racconta la leggenda, ma è più probabile che il toro portato da Iohannis Pisani fosse un discendente di quella famosa coppia di uri, tuttavia a confermare questa leggenda ci sarebbe anche una curiosa scoperta fatta da alcuni ricercatori/allevatori che avrebbero accidentalmente rinvenuti alcuni bovini maremmani proprio a Roccalbegna, riconducibili agli antichi uri. La straordinaria scoperta fatta solo pochi anni fa è stranamente passata inosservata ai media e al pubblico. Ciò non toglie nulla all’importanza della scoperta. Anche alcuni bovini più grandi furono trasferiti in Olanda per essere ulteriormente esaminati e classificati come una nuova razza. In realtà Iohannis Pisani ricevette l’ordine di partire per Roccalbegna dall’antico rettore agostiniano, divenuto poi abate dei Templari giunto dall’Egitto nel 1221. Questo importante monaco agostiniano detto il “predicatore” ancora in vita nonostante fosse centenario, era ancora al vertice nella guida della chiesa di San Jacopo. Ordinò che, a causa delle frequenti incursioni di fiorentini e lucchesi nei pressi dell’eremo di Sambuca, all’epoca convento agostiniano, i cinque frati, compreso il loro priore fra Bernardo, fossero prelevati e trasferiti nel nuovo monastero che si stava costruendo a Roccalbegna. Dopo l’abbandono dei frati agostiniani, il monastero di Sambuca riprese vita solo nel 1317, quando vi si stabilirono alcuni frati penitenti, ma nel 1390 fu nuovamente abbandonato, tanto che i conti della Gherardesca decisero di affidarlo ai frati ingesuati, cioè i seguaci del beato Giovanni Colombini da Siena. (link) In passato ho scritto molto sul “predicatore”, il monaco che accompagnò i Templari alla chiesa di San Jacopo nel 1221 e mostrò loro la cripta segreta dove sgorgava l’acqua sacra detta “acquaviva”.